LA CORTE D'APPELLO DI TRIESTE 
                         Collegio di Lavoro 
 
    Composta dai signori magistrati: 
        dott. Mario Pellegrini - Presidente; 
        dott. Lucio Benvegnu' - Consigliere relatore; 
        dott. Andrea Doardo - Giudice ausiliario, 
ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nella  causa  in  materia  di
previdenza iscritta al n. 202 del ruolo 2017, promossa in questa sede
di appello con ricorso depositato il 29 agosto 2017 da: Baf Severino,
Bellarosa Giovanni, Bernetti Giorgio Franco, Bevilacqua Enzo,  Biziai
Rosella, Chiavacci Antonietta, Cozzarini  Gelsomina,  Grillo  Franco,
Maggi Giorgio, Novelli Gastone,  Roncone  Giovanni,  Rossi  Giuliano,
Salatei Lucia, Sossi Fulvio, Spagna Enzo, Spazzapan Giorgio, Terzuoli
Lamberto, Udina Francesco, Zanmarchi Sergio, Brunetta Sergio e  Volpi
Guglielmo, rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati  prof.  Federico
Sorrentino, Enzo Bevilacqua, anche in proprio,  e  Alessandro  Tudor,
quest'ultimo anche domiciliatario in  Trieste  in  forza  di  mandato
trasmesso per  via  telematica  unitamente  al  ricorso  in  appello,
appellanti; contro la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  in
persona  del   Presidente   in   carica,   rappresentata   e   difesa
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, appellata. 
 
                       Motivi della decisione 
                (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87) 
 
    Gli appellanti sig.ri Severino Baf, Giovanni  Bellarosa,  Giorgio
Franco  Bernetti,  Enzo  Bevilacqua,   Rosetta   Biziai,   Antonietta
Cebavacci, Gelsomina Cozzarini, Franco Grillo, Giorgio Maggi, Gastone
Novelli, Giovanni Roncone,  Giuliano  Rossi,  Lucia  Salatei,  Fulvio
Sossi, Enzo Spagna, Giorgio Spazzapan, Lamberto  Terzuoli,  Francesco
Udina, Sergio Zanmarchi, Sergio Brunetta  e  Guglielmo  Volpi,  hanno
convenuto in giudizio  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  chiedendo
l'accertamento del loro diritto a percepire la  pensione  integrativa
regionale di cui all'art. 100, comma 2  della  legge  n.  18/1996  (o
meglio il trattamento differenziale previsto dal  combinato  disposto
dei successivi commi 3 e 4 e dall'art. 140 della legge  regionale  n.
53/1981) e, conseguentemente, la condanna della Regione al  pagamento
delle  somme  dovute,  non   che'   alla   restituzione   di   quanto
indebitamente trattenuto a partire dal 1° settembre 2014. 
    1.1. A sostegno della loro pretesa i ricorrenti hanno dedotto: 
        1) di essere stati tutti  dipendenti,  con  la  qualifica  di
dirigente, della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  e  cio'  da  epoca
anteriore al  1°  ottobre  1990,  e  di  essere  stati  collocati  in
quiescenza dopo tale data; 
        2) che la retribuzione  da  essi  percepita  in  costanza  di
rapporto  di  lavoro  comprendeva  anche  l'indennita'  di   funzione
dirigenziale, in origine non considerata pensionabile dall'INPDAP  (a
differenza  di  quanto  accadeva  per  i   dirigenti   statali),   ma
qualificata come tale dalla Regione  Friuli-Venezia  Giulia  con  gli
articoli 21, 25 e 140 della legge regionale n. 53/1981; 
        3) che in seguito, nel 1996, l'INPDAP ha fatto  rientrate  la
suddetta indennita' nella retribuzione pensionabile a  decorrere  dal
1° ottobre 1990 (per cui la Regione aveva trasferito  all'Istituto  i
contributi pagati dai dirigenti da quest'ultima data fino al 1996); 
        4) che  di  conseguenza  l'art.  100,  comma  1  della  legge
regionale n. 18/1996 ha abrogato l'art. 140, commi 1,  2,  3  e  4  e
l'art. 143, primo comma, secondo periodo, della  legge  regionale  n.
53/1981, facendo pero' salvo (al comma 2) il  diritto  dei  dirigenti
gia' cessati dal servizio entro il 30 settembre 1990 a  continuare  a
percepire i trattamenti gia' loro concessi ai sensi della  disciplina
abrogata e (al comma 4) il diritto  dei  dirigenti  cessati  dopo  la
suddetta data, i quali avessero pero' gia' maturato i  requisiti  per
il trattamento pensionistico regionale, a ricevere  un  assegno  pari
alla  differenza  «tra  l'ammontare  del  maturato  ai  sensi   della
normativa di cui all'art. 140 della  legge  ragionale  n.  53/1981  e
l'incremento  di  pensione  spettante  dall'INPDAP  -  CPDEL  con  la
valutazione dell'indennita' di funzione»; 
        5)  di  avere  quindi  percepito,  dopo  il  collocamento  in
quiescenza, l'assegno pensionistico integrativo  regionale  ai  sensi
dell'art. 100 della legge regionale  n.  19/1996,  in  aggiunta  alla
pensione erogata prima dall'INPDAP e poi dall'INPS; 
        6) che pero' l'art. 12, comma  3  della  legge  regionale  n.
15/2014 ha abrogato l'art. 100, commi 1, 3 e 4 della legge  regionale
n. 18/1996, facendo cosi' venire meno (a decorrere dal  1°  settembre
2014,  come  previsto  nel  successivo  comma   5)   il   trattamento
integrativo regionale, salvo che per i dirigenti cessati dal servizio
entro il 30 settembre 1990 (tutelati  dall'art.  100,  comma  2,  non
abrogato dalla  legge  regionale  n.  15/2014)  e,  a  seguito  della
modifica introdotta dall'art. 12, comma 1 della  legge  regionale  n.
27/2014, per il «personale cessato dal  servizio  nei  cui  confronti
l'INPDAP non ha riconosciuto nell'imponibile  pensionabile  utile  ai
fini  della  determinazione  della  quota  A  di  pensione  l'importo
dell'indennita' di funzione o di posizione»; 
        7) che quest'ultima disposizione  deve  essere  interpretata,
allo  scopo  di  rendere  la  nuova  disciplina  compatibile  con  la
Costituzione, in modo da comprendere anche quei dirigenti  che,  come
loro, hanno versato contributi previdenziali alla Regione  prima  del
30 settembre 1990 (e cioe' prima che l'indennita' dirigenziale  fosse
considerata pensionabile dall'INPDAP), venendo  posti  in  quiescenza
dopo tale data; 
        8) che in caso contrario l'art. 12, commi 3 a 5  della  legge
regionale  n.  15/2014  dovrebbe  essere  ritenuto  illegittimo   per
violazione dei principi sanciti dagli articoli 2,  3,  36,  38  e  53
della Costituzione e dall'art. 6 CEDU, perche': 
A) ha imposto loro un sacrificio non eccezionale  e  transitorio,  ma
definitivo, e comunque sproporzionato  rispetto  al  vantaggio  cosi'
ottenuto per le finanze regionali; 
B)  ha  introdotto,  senza   una   razionale   giustificazione,   una
illegittima disparita' di trattamento fra situazioni  sostanzialmente
identiche (avendo fatto salvo il  trattamento  integrativo  regionale
solo per i dirigenti cessati dal servizio prima del 1° ottobre  1990,
e non anche per quelli cessati dopo, pur avendo tutti pagato, fino al
30 settembre 1990, i contributi previsti dalla legge n. 53/1981); 
C)  ha  inciso   negativamente   sull'adeguatezza   del   trattamento
pensionistico  (anche  sotto  il  profilo   della   sua   natura   di
retribuzione differita); 
D) ha introdotto, nella sostanza, un'imposta speciale (tale dovendosi
considerare  la  decurtazione   imposta   d'autorita'   del   reddito
pensionistico finalizzata  al  finanziamento  della  spesa  pubblica)
gravante su una sola categoria di contribuenti (e cioe'  i  dirigenti
regionali in servizio prima  del  1°  ottobre  1990  e  collocati  in
quiescenza dopo tale data). 
    1.2. Si e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia replicando, in sintesi: 
        1) che il periodo aggiunto dall'art. 12, comma 1 della  legge
regionale n. 24/2014 all'art. 100, comma 2 della legge  regionale  n.
18/1996 si riferisce esclusivamente al personale  regionale  cui  sia
stato conferito un incarico dirigenziale,  pur  essendo  privo  della
relativa qualifica, al quale l'INPDAP non ha per questo  riconosciuto
come pensionabile l'indennita' di funzione o di posizione; 
        2) che la disciplina previgente e' stata  abrogata  dall'art.
12, comma 3 della legge regionale n. 15/2014 perche' comportava degli
oneri non piu' giustificabili a carico  della  finanza  pubblica,  in
contrasto con le norme fondamentali di riforma  economico  sociale  e
con il principio di economicita' delle gestioni previdenziali; 
        3) che non vi e' stata alcuna  violazione  del  principio  di
tutela del legittimo affidamento ne' del  canone  di  ragionevolezza,
essendo al contrario l'intervento legislativo oggetto di  discussione
giustificato (e  imposto)  dalla  necessita'  di  salvaguardia  degli
equilibri di bilancio e di  contenimento  della  spesa  previdenziale
(tanto piu' che la prestazione rivendicata  costituiva  una  indebita
duplicazione di importi gia'  riconosciuti  dall'Ente  previdenziale,
essendo i ricorrenti titolari di pensioni calcolate  con  il  sistema
retributivo); 
        4) che neppure sono stati violati i principi di  uguaglianza,
di  proporzionalita'   della   retribuzione,   di   adeguatezza   del
trattamento pensionistico e di capacita' contributiva. 
    2. I dubbi di costituzionalita' sollevati dai ricorrenti in primo
grado sono certamente rilevanti ai fini della decisione; gli  odierni
appellanti chiedono infatti di ottenere nuovamente (e  di  conservare
per il futuro) il trattamento pensionistico integrativo  previsto,  a
carico della  Regione,  dall'art.  100,  commi  3  e  4  della  legge
regionale n. 18/1996, abrogati dall'art.  12,  comma  3  della  legge
regionale n. 15/2014: e pertanto solo eliminando  quest'ultima  norma
dall'ordinamento,  tramite  una   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale, essi potrebbero conseguire il risultato perseguito in
causa (e cioe' il riconoscimento del loro diritto a percepire ancora,
in base al citato art. 100  della  legge  regionale  n.  18/1996,  la
differenza fra il trattamento stabilito  dall'art.  140  della  legge
regionale  n.  53/1981   e   l'incremento   derivante   dal   computo
dell'indennita' dirigenziale nella pensione erogata dall'INPDAP, oggi
INPS). 
3. Le questioni sollevate dagli appellanti  non  sono  manifestamente
infondate. 
    3.1. A questo proposito si deve ricordare, in linea generale: 
        1) che il legislatore puo' modificare in senso sfavorevole la
disciplina  dei  rapporti  di  durata,  anche  incidendo  su  diritti
soggettivi perfetti previsti da leggi precedenti, a condizione di non
introdurre una disciplina irrazionale e arbitraria  «frustrando  cosi
anche l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica  che
costituisce elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto» (cosi' Corte  cost.  n.  179/1996;  nello  stesso  senso  le
pronunce n. 206/2009 e n. 166/2012); 
        2) che le esigenze di bilancio e di contenimento della  spesa
pubblica  possono  giustificare  un  intervento  del  legislatore  su
posizioni soggettive consolidate, purche' il sacrificio  imposto  sta
ragionevole  (ovvero  non  arbitrario),   eccezionale   (o   comunque
temporaneo) e  proporzionato  (cosi'  Corte  cost.  n.  245/1997,  n.
299/1999, n. 92/2013); 
        3) che un'imposizione tributaria, sotto forma di riduzione di
un trattamento retributivo o pensionistico  finalizzato  a  garantire
l'equilibrio di bilancio e il contenimento della spesa  pubblica,  e'
legittima a condizione di non essere irragionevole e di rispettare  i
principi sanciti dagli articoli 3, 36 e  38  della  Costituzione  (in
questo senso Corte cost. n. 223/2012, n. 116/2013,  n.  304/2013,  n.
154/2014). 
    3.2. Nel caso in esame si puo' effettivamente dubitare che questi
limiti siano stati rispettati dal legislatore regionale. 
    Sul punto si deve infatti osservare: 
        1) che il sacrificio  imposto  agli  appellanti  non  e'  ne'
eccezionale, ne' temporaneo, poiche' l'art. 12, commi  3  e  5  della
legge regionale n. 15/2014 non ha previsto una riduzione  transitoria
e parziale  della  pensione  integrativa  loro  spettante  in  virtu'
dell'art. 100, commi 3 e 4 della legge regionale n.  18/1996,  ma  ha
radicalmente e definitivamente eliminato il diritto, in contrasto con
il legittimo affidamento dei titolari sulla  certezza,  stabilita'  e
adeguatezza  della  loro   posizione   (gia'   retributiva   e   ora)
previdenziale; 
        2) che il legislatore regionale ha creato  una  irragionevole
disparita' di trattamento, poiche', fra tutti i dirigenti  che  hanno
versato i contributi previdenziali  sull'indennita'  della  legge  n.
53/1981 fino al 30 settembre 1990, ha inciso solo sulla posizione  di
coloro che (come gli appellanti) sono andati in pensione dopo  quella
data (nonostante la loro posizione, riguardo ai contributi versati in
epoca anteriore, sia identica  a  quella  dei  colleghi  cessati  dal
servizio prima del 1° ottobre 1990); e ancora perche'  -  trattandosi
di un'imposizione di natura evidentemente tributaria (alla  luce  dei
criteri fissati  dalla  Corte  costituzionale  nelle  pronunce  sopra
citate) - non risulta (e non e' stato  espressamente  allegato  dalla
Regione) che un analogo sacrificio sia stato imposto - allo scopo  di
ridurre la spesa pubblica e garantire l'equilibrio di bilancio  -  ad
altri soggetti equiparabili sotto il  profilo  della  loro  posizione
(attuale o pregressa) di  dipendenti  dell'Ente  e  delle  condizioni
personali di reddito; 
    3) che nessuna specifica allegazione  e'  stata  formulata  dalla
Regione in ordine alla proporzionalita' e adeguatezza del  sacrificio
imposto agli appellanti rispetto agli obiettivi perseguiti  dall'art.
12 della legge regionale n. 15/2014. 
    Nulla e' dato sapere infatti riguardo  al  costo  della  pensione
integrativa oggetto di causa,  e  quindi  al  risparmio  conseguibile
dall'Ente grazie alla sua  eliminazione,  riguardo  all'incidenza  di
questo costo sul bilancio  regionale  e  sull'equilibrio  finanziario
dell'Ente (con particolare riferimento ai trattamenti  retributivi  e
previdenziali erogati); e soprattutto riguardo  al  rapporto  fra  la
pensione integrativa corrisposta agli  appellanti  in  base  all'art.
100, commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996 e i  contributi  da
essi versati fino al 30 settembre 1990 in base alla  legge  regionale
n.  53/1981  (contributi  che  la  Regione  ha   trattenuto,   avendo
trasferito all'INPDAP solo quelli relativi i  al  periodo  successivo
fino al 1996) e quindi alla coerenza fra accantonamenti (del passato)
e prestazioni gia' eseguite e da erogare in futuro. 
        3.3. Il legislatore regionale ha quindi violato - in  ipotesi
- gli articoli 3, 36, comma 1, 38, comma 2 e  53  della  Costituzione
perche'  ha  trattato   in   modo   diverso   situazioni   identiche,
intervenendo,  solo  per  alcuni  soggetti,  su  un   diritto   ormai
acquisito; ha leso il legittimo affidamento degli appellanti riguardo
alla certezza e stabilita' dell'ordinamento; ha introdotto un peso di
natura tributaria, tale da incidere sulla adeguatezza della posizione
retributiva e previdenziale degli obbligati, solo per  una  specifica
categoria di contribuenti e senza effettuare e prevedere una  qualche
forma di equo bilanciamento di interessi. 
4. I dubbi di costituzionalita' sollevati dagli  appellanti  sin  dal
primo grado non possono essere risolti, come da essi proposto, in via
interpretativa. 
    4.1.  A   questo   riguardo   si   deve   tenere   presente   che
l'interpretazione  costituzionalmente  orientata  e'  consentita   (e
doverosa) a condizione che si tratti di una  vera  interpretazione  e
cioe' della scelta, fra piu'  significati  della  norma  possibili  e
compatibili con il suo tenore letterale e con il contesto in  cui  e'
inserita, di quello conforme ai principi sanciti dalla Costituzione. 
    4.2. Nel caso in esame il testo  dell'art.  100,  comma  2  della
legge regionale n. 18/1996, come modificato  dall'art.  12,  comma  1
della legge regionale n. 27/2014, e' assolutamente chiaro  e  univoco
nel riferirsi solo ed esclusivamente a coloro cui  l'INPDAP  «non  ha
riconosciuto  nell'imponibile  pensionabile  utile  ai   fini   della
determinazione della quota A di pensione l'importo dell'indennita' di
funzione o  di  posizione»  e  in  questa  categoria  certamente  non
rientrano gli appellanti, a quali pacificamente l'INPS (gia'  INPDAP)
eroga una pensione determinata (con il sistema  retributivo)  tenendo
conto  anche  dell'indennita'  dirigenziale  prevista   dalla   legge
regionale n. 53/1981. 
    Ne' si puo' condividere l'affermazione degli  appellanti  secondo
cui la suddetta  ,  disposizione,  se  non  riguardasse  anche  loro,
sarebbe priva di contenuto: si deve infatti ritenere che la norma sia
diretta - come ha giustamente osservato la Regione -  a  tutelare  la
posizione di quei  lavoratori  che,  pur  avendo  ricevuto  incarichi
dirigenziali e quindi percepito l'indennita' di cui  si  discute  (in
forza  dell'art.  212  della  legge  regionale  n.  53/1981)  -   non
possedevano la relativa qualifica, con la conseguenza che la suddetta
indennita' non e' stata computata dall'Istituto previdenziale al fine
di determinare il loro trattamento pensionistico. 
    A quanto appena detto si deve aggiungere  che,  interpretata  nel
senso voluto dagli appellanti, la disciplina risultante dal combinato
disposto dell'art. 100, comma 2 della  legge  regionale  n.  18/1996,
come integrato  dall'art.  12,  comma  1  della  legge  regionale  n.
27/2014, e dell'art. 12, commi 3 e 5 della legge regionale n. 15/2014
sarebbe  palesemente  assurda  e  contraddittoria:   il   legislatore
regionale, infatti,  avrebbe,  da  una  parte,  eliminato  (abrogando
l'art. 100, commi 3 e 4 della legge  regionale  n.  18/1996  mediante
l'art. 12, comma 3 della legge  regionale  n.  15/2014)  la  pensione
integrativa prevista dall'art. 140 della legge regionale  n.  53/1981
(che, va ricordato, compete solo ed esclusivamente a  un  numero  ben
definito e chiuso di ex dirigenti regionali, fra cui gli  appellanti)
e, dall'altra, l'avrebbe reintrodotta (tramite  l'art.  12,  comma  1
della legge regionale n. 27/2014) peri medesimi soggetti  (che  sono,
si ripete, gli unici a beneficiarne). 
    In sintesi la Regione Friuli-Venezia Giulia avrebbe  prima  tolto
la pensione integrativa agli appellanti (e agli altri dirigenti nella
loro stessa posizione), e cio' «ai fini del contenimento della  spesa
pubblica e nel rispetto dei principi fondamentali di coordinamento di
finanza  pubblica»,  e  poi,  smentendo  se  stessa  e  le  finalita'
espressamente dichiarate nell'art. 12, comma 3 della legge  regionale
n. 15 del 4 agosto 2014, l'avrebbe subito reintrodotta con l'art. 12,
comma 1 della legge regionale 30 dicembre 2014, n. 27;  il  risultato
sarebbe una sorta di corto circuito legislativo, poiche' l'art.  100,
comma 2 della legge  regionale  n.  18/1996  darebbe  di  nuovo  agli
appellanti cio'  che  i  successivi  commi  3  e  4  (ormai  abrogati
dall'art. 12, comma 3 della legge regionale n.  15/2014,  tuttora  in
vigore) non concedono piu' a partire  dal  1°  settembre  2014  (come
stabilisce  l'art.  12,  comma  5  della  medesima  legge  regionale,
anch'esso mai abrogato e quindi vigente). 
    4.3.  E'  quindi  inevitabile  rimettere  la  valutazione   della
legittimita' dell'art. 12, commi 3  e  5  della  legge  regionale  n.
15/2014 alla Corte costituzionale.